martedì 10 luglio 2007

fatica sprecata - lo spazzino


La vita si accanisce sempre con le stesse persone.
Persone alle quali non gliene va mai una dritta.
Gente in gamba, nulla da dire su questo. Gente che il suo lavoro lo sa fare, eppure bene.
Alla fine rimangono con niente in mano, però. Forse sfortuna.
Uno tra tanti? E’ un nome che volete? L’ennesima storia andata male e messa nel dimenticatoio?
Prendete la storia di Antonio, il regista.

Due netturbini ai quali era toccato il turno di notte. Solito giro: partire alle ventitré dal deposito, iniziare da via Salti, proseguire su via Turi, farsi il giro di tutta la zona assegnata fermandosi ad ogni cassonetto, svuotarlo nel camion e finire il circuito al deposito, tre ore dopo.
Poi stop. Nulla di strano. Tutto qua.
I due partono dal deposito e insieme a loro parte anche la storia: iniziano da via Salti, continuano su via Turi, il primo cassonetto lo incontrano in via Col Vento (denominazione pretesa dal nuovo sindaco “per avvicinarmi ancora di più ai cittadini in maniera burlesca ed informale”, ndr.).
Agganciano, svuotano, mettono giù, sistemano e ripartono: via Fante, via dei Giardini, via Nibbio, via Freschi, piazza XXX Giugno, via Caini.
Tonino guida, Vincenzo sta aggrappato dietro, pronto a scendere e agganciare il cassonetto al braccio meccanico.
Il camion si ferma nuovamente in via Molise, Vincenzo scende e si dirige verso l’immondizia, con le mani ad inarcare la schiena per sgranchirsi. Avvicinandosi si blocca di colpo, ritrae il passo. Tende l’orecchio per sentire meglio. Si spaventa. Si agita. Corre da Tonino:
- “Oh!, scendi!, scendi!, di corsa!”.
- “Ora che c’è?, che ha’ fatto?”, domanda Tonino scocciato.
- “T’ho detto scendi di costì e vieni a sentire!”.
Tonino spenge il motore e segue il collega verso il cassonetto.
- “Allora?, lo senti?”, lo interroga agitato Vincenzo.
- “Ma cosa?”
- “Non lo senti questo lamento? Io dico è un bambino! Ce l’hanno buttato dentro vai!”.
- “Ma v’en via, bischero!”.
- “Sì, vengo via! …e se è davvero un bambino che faccio?, lo sciagatto dentro il cassone insieme al sudicio?”.
-“E io che ti devo fare?, piglia una pila e guarda!”.
Vincenzo corre dentro la cabina del camion e prende una torcia, torna al cassonetto e solleva il coperchio, terrorizzato all’idea che dentro possa trovarcisi un infante. Direziona il fascio di luce. Ispeziona. Tonino si accende una sigaretta: - “Trovato niente?”.
Vincenzo si spinge dentro con la testa per veder meglio. Oh!, dal cassonetto balza fuori un gatto, di scatto. Vincenzo emette un gemito dallo spavento e cade a terra infartuato. Tonino lo chiama a gran voce, ma il collega non risponde. Si precipita dentro all’autocarro, dalla parte del passeggero, per prendere il cellulare e chiamare aiuto. Allungandosi per arrivare al telefono disinserisce la marcia urtando il cambio. Le ruote iniziano a girare all’indietro travolgendo il povero Vincenzo che si trova ancora a terra. Non si ferma il camion e, ancor prima che Tonino possa fare qualcosa, il mezzo urta un’automobile parcheggiata, con dentro una coppia. Il maschio dell’appena citata balza fuori roteando i pugni, inveendo contro il povero Tonino. Il Nostro non lo sente neppure, rimane folgorato dalla bellezza della ragazza. Scansa il maschio e picchietta con le nocche al finestrino, invitando la ragazza ad abbassarlo. Ella vorrebbe assecondarlo, ma a causa dell’ammacco sulla portiera il finestrino si apre solo di uno spiraglio, dal quale Tonino prova a far passare la sua voce:
- “Buonasera Mademoisella!, io sono Tonino. Il tuo splendore mi ha ghermito. Porta pazienza se, accidentalmente, ho urtato la macchina, ma da' retta: non curartene, adesso ti porto via con me. Sì!, poiché io ti amo e, lo si sa: al cuor non si comanda. La tua anima ha rapito la mia ed insieme fluttuano già nell'etere dell'amore, non v'è dubbio. Ho la ferma intenzione di trascorrere il resto dei miei giorni con te e concepire insieme almeno cinque figli!”.
Mademoisella a tali parole non sa resistere: esce commossa dal tettuccio apribile della Spider gialla e getta le braccia al collo a Tonino.
Il fidanzato della ragazza rimane a contemplare basito l’ammacco sulla portiera mentre la neo coppia si allontana verso le prime luci dell’alba e della loro nuova vita.
Passando accanto al collega defunto, Tonino ha l’accortezza di chiudergli le palpebre e gettargli un fazzoletto sul volto.
- FINE -
Desta stupore il fatto che la produzione non abbia acconsentito la realizzazione della pellicola, ritenendola non adeguata alla propria linea di mercato.





storia di Aberto Sabatini
video trovato su youtube e rimontato da Michele Baldini
illustrazione di Caterina Polidori

e vai!!!


«…ma perché non vuoi provare?»
«Perché tanto è un “no”, sicuro.»
«E come fai a saperlo?»
«E tu? Tu come fai a saperlo?»
«Io non lo so!, nessuno lo sa. È per questo che la gente prova: per saperlo!»
«Io lo so già!»
«Tu non sai un cazzo!»
«E nemmeno mi frega di saperlo!»
«Allora sta’ zitto e finisci quel maledetto tè, che almeno ci togliamo subito dai coglioni!»
«Anna!, ma sei impazzita? Se ti sente… Secondo te perché ho ordinato un tè»
«Perché per una sera che veniamo in un pub hai deciso di assaggiare qualcosa di diverso dall’acqua e limone?»
«Ma no!, no. Il sapore dell’acqua va benissimo. Ma il colore…»
«Il colore, Giulio?»
«Il tè ha il colore del whisky! Capisci? La tipa penserà: “Caspita, quel discepolo di Bacco con che voluttà tracanna quel Bourbon!”.»
«La tipa penserà: “Guarda quel fesso quante storie fa per bere un tè!”»
«Ma perché non può pensare che è un whisky?»
«Perché il whisky non lo servono in un bicchiere con la scritta “Lipton”!»
«Potrebbero aver finito gli altri bicchieri.»
«E da quando i discepoli di Bacco bevono il whisky con la cannuccia?»
«Ahhhh!, hai ragione. Sono un inetto. Non ho possibilità!»
«Non hai possibilità se resti qui seduto con me. Alzati e dille qualcosa!»
«Ma cosa?»
«Dille: “Ciao!, ho visto che eri sola e…ti va una birra?”. Poi vedi lì per lì.»
«No, non funzionerà.»
«Smettila di lamentarti! Ti sta guardando: alzati e vai da lei!»
«Non ci credo che mi guarda! Non mi avrà neanche notato!»
«Sei seduto al tavolo di un pub con in dosso un doppiopetto nocciola e occhiali da sole, sembri una spia del KGB: certo che ti ha notato!»
«Dai, non prendermi in giro!»
«Sto scherzando!»
«Allora che faccio?, vado?»
«VAI!».
Con fare deciso, Giulio, puntò dritto verso il tavolo dov’era seduta la ragazza. Nel tragitto inciampò solo una volta, ma senza cadere.
Arrivato esordì con un tanto goffo quanto efficace: - «Ciao!, fa caldo eh? Ho visto che eri sola e ho pensato “forse è sola perché ha caldo e…e intelligentemente ha scelto di non avere intorno gente che respirando può contribuire al riscaldamento de…dell’aria che altrimenti diverrebbe irrespirabile. E quindi è meglio che non vado!”, poi ho pensato che probabilmente eri sola e basta, e visto che qui dentro fa oggettivamente caldo mi…mi chiedevo se te la sentivi di uscire per fumare insieme. Te la senti? Una sigaretta dico. Cioè du…due sigarette: io fumo la mia e tu fumi la tua…se ti va…altrimenti possiamo… fumare la stessa, per me non ci sono problemi. …Eh?».
La ragazza lo osservò divertita, mentre lui aspettando la risposta si tormentava le dita sudate.
«Non fumo», rispose lei, «ma se ti va puoi sederti! Beviamo qualcosa insieme.»
«Insieme? Nel senso che quando io mi siederò tu non ti alzerai?»
La ragazza scoppiò in una risata: - «No, non mi alzerò!».
Da registrare nel continuo della serata il tempestivo intervento delle forze dell’ordine dopo l’ultimatum di pre-conquista intimato sguaiatamente da Giulio a metà pinta nei confronti dell’intero Vecchio Continente, e la mancata copula tra i due giovani.



storia di Alberto Sabatini
foto di Caterina Polidori
video di Michele Baldini
illustrazione di Andrea Sgherri

mercoledì 4 luglio 2007

il suicida



il suicida s' è ammazzato.
non ne poteva più.
sconcertante caso di suicidio di un padre davanti a suo figlio
"ADDIO AMORE MIO" E POI INGHIOTTISCE UN MATTONCINO DELLA LEGO
Si annunciano guai giudiziari per la multinazionale delle costruzioni giocattolo danese
SAN MINIATO - Bianco Porpora, 33 anni, impiegato in una ditta edile, stava giocando, come ogni domenica pomeriggio, con il figlio Rosso, di 7, alle costruzioni, nel soggiorno di casa. All' improvviso il gesto estremo: pronuncia le parole e inghiottisce un mattoncino blu, della misura più grossa. Il bambino non si accorge immediatamente della gravità dell' accaduto, convinto che il padre stia giocando. Soltanto dieci minuti dopo che l' uomo non smette di tossire e di lamentarsi chiama la madre, rimasta in cucina. Celeste Giallo, di 28 anni accorre quando ormai è troppo tardi. Invano il tempestivo arrivo dei mezzi di soccorso. Il marito muore appena salito in ambulanza per soffocamento.
Disperata la donna fa sapere: - soffriva di depressione, soprattutto dopo che aveva cambiato lavoro (da disc jockey a impiegato, NdT), e non si trovava bene nel nuovo ambiente, spesso litigavamo, ma non avrei mai pensato che fosse stato capace di arrivare a questo punto.



La signora Porpora comunica altresì che per la multinazionale danese delle costruzioni giocattolo sarranno in arrivo guai giudiziari, si parla prima di tutto di una richiesta di risarcimento: - devono tenere informati soprattutto i più piccoli sulla pericolosità dei loro prodotti.




storia di Michele Baldini
grafica e video di Caterina Polidori
illustrazione di Andrea Sgherri

marco de ascentis - esimio generale


Marco non usava alcun dispositivo per trasmissioni: nessun ponte radio, nessun telegrafo, nessun ricetrasmettitore. Niente di niente.
Disponeva ordini ai suoi uomini urlando con tutto il fiato di cui era capace, girando nervosamente attorno al suo tavolo, con le mani dietro la schiena, attento nello studiare la miglior strategia. Guerra dopo guerra. Prestava molta cura nel pianificare la battaglia, nello schierare gli uomini e nel programmare la sequenza con la quale sarebbero dovuti scendere in campo.
- “Sono il Generale Marco, il vostro Generale.” – urlava alle truppe – “Aprite bene le orecchie!, razza di succhiapollicibuonianulla, non ripeterò due volte…”.
E come ubbidivano quei Cristi. Se qualcuno osava rifiutare un suo ordine veniva consegnato al nemico e lì rimaneva prigioniero, in legione straniera. Gli ordini erano ordini, toccava a rispettarli.
Erano impegnati nella Battaglia dei Colli, così denominata da insigne Colonnelo Bova (che in passato si distinse per spiccato estro letterario anziché bellico), poiché i campi base degli eserciti erano posti in alto, su due colli che spuntavano, quasi per magia, da una vasta distesa di terra bruciata, l’uno di fronte all’altro. Lo scontro avveniva a valle, dove il fiume, una striscia di blu, delimitava il confine tra uno schieramento e l’altro. Su indiscutibile ordine di Marco la fanteria e i granatieri erano stanziati a pochi passi dalla riva del fiume, ormai da molte ore, pronti ad attaccare non appena l’artiglieria fosse avanzata coprendogli le spalle. Non era una giornata fredda, ma col calare del sole anche la temperatura si abbassò sensibilmente. I soldati aspettavano stanchi, volto spento: pareva dello stesso piombo con cui erano fatti i loro fucili e i loro mortai.
Di piombo.
Tutto intorno era deserto, non si muoveva una foglia. Non passava nulla. Si distinguevano soltanto le sagome dei soldati caduti nel precedente scontro, ammassati uno sull’altro, con l’arma stretta in pugno e gli occhi ancora sbarrati. Attimi che sembravano ore e le ore erano passate in quantità. Immobili, non volevano far localizzare la propria posizione al nemico. Immobili e senza batter ciglio, forse anche per paura di addormentarsi ad aspettare un qualsiasi cenno che tardava ad arrivare. Il pensiero era rivolto altrove, forse alle loro case, forse alle loro amanti, sicuro non a quell’inferno. A qualsiasi cosa fosse rivolto quel pensiero, di certo c’è che fu interrotto dal tuono dei carri che, scendendo dal colle, si apprestavano a far fuoco non appena il Generale avesse dato ordine. Questione di secondi, quand’ecco che Marco premendosi sulla pancia come a far uscire tutta l’aria in un solo grido, urla ai suoi:
- “…
L’ordine del Generale fu sopraffatto da una voce proveniente dall’ainoi domestica cambusa:
- “Marco, è l’ora del bagnetto, sbrigati! Puoi portare anche i tuoi soldatini se vuoi”.
- “Sono il Generale Marco!, mamma.”, replicò il bambino avviandosi di corsa verso il bagno.



storia di Alberto Sabatini
foto e video di Michele Baldini e Caterina Polidori

martedì 3 luglio 2007

storia di un pesce che ricorda


si dice che i pesci rossi non hanno memoria... questo si.
molte volte, il nostro pesce,avrebbe volentieri non ricordato, soprattutto quando era molto triste e si sa, quando si è molto tristi si ricorda solo cose tristi.
questo pesce lavorava in una ditta di import ed export nella zona di confino e quasi subito aveva ottenuto un contratto a lungo termine; la tipologia "a tempo indeterminato" tra i suoi amici pesci, non esisteva per niente,per il motivo all'inizio citato.... i dipendenti ricordavanoal massimo cose
di quattro giorni addietro,mentre il contratto a lungo termine implicava una memoria di almeno cinque anni.
fatto stà che questo pesce,dotato di memoria a medio termine (dai 3 ai 10 anni) nel periodo della vicenda che narreremo, non era tanto felicee,per ciò,avrebbe volentieri non ricordato.

in quanto pesce rosso la parola non era il suo forte, ma anche se l'avesse avuta non avrebbe detto propio niente a nessuno... se ne stava tutto il giorno nella sua tana a guardare le bolle di ossigeno che volavano intorno a lui... amici e parenti provavano acontattarlo, ma niente... sempre lì,affacciato alla finestra a guardare questa bolle.
Alla mattina i suoi occhi erano pesantissimi, non si volevano assolutamente aprire, anzi, ogni mattina esprimeva il desiderio di non aprirli mai più.
Minacciato di licenziamento per le sue numerose assenze decise di fraquentare un centro per pesci melanconici ottenendo quasi subito dei risultati benefici: non ricordava... o almeno ricordava meno, quel che basta per tirare a vivere... decise ti tornare al lavoro.
Al lavoro però i ricordi brutti riaffiorarono:
- dove sei stato in questo periodo?- boccheggiava il suo collega max...

Uno di quei brutti giorni che molti non vorrebbero mai vivere, il nostro pesce Decise.
Decise di finirla, da li a tre giorni, avrebbe finito di ricordare.
Escludendo il taglio autoprodotto di tessuti propri e l annegamento, concluse che avrebbe finito con una mangiata, una grande mangiata.
Aspetto e progetto tre giorni: sarebbe andato come ogni quel giorno al circolo dei pesci rossi...
-Che facciamo stasera?
-Si potrebbe andare in quel nuovo locale appena aperto di cui non mi ricordo il nome...
-Siamo d accordo...
-Che facciamo stasera?
Avrebbe, poi, raggiunto la collina panoramica e, dopo un ultimo saluto al mondo che l ha visto crescere e soffrire, sarebbe andato a fare la ricca spesa.
Passarono tre giorni e il nostro amico pesce attuò il distruttivo progetto...
La prima fase della fine di tutto fu presto conclusa, cosi si recò al superdiscount all' angolo, svoltato a destra, comprò di tutto, anche quello che non esisteva e, con tutte quelle Robe di Morte si avvicino alla cassa...
Stava guardando le gomme da masticare all amianto dai multivariati colori e i rasoi sprigionanti pcp ad oni passata, quando alzò gli occhi ...
Alla cassa era seduta Letizia, una compagna di giochetti infantili, non molto dotata di testa ma assai atletica e resistente. A quel punto , il nostro amico, RI-DECISE
-Che fai stasera?
-Esco da lavoro e nanna.
-Ceniamo insieme?
-Mmmh...ok.
Ridecise che avrebbe aspettato Letizia fuori dal superdiscount all' angolo svoltato a destra, le riavrebbe proposto la cena e avrebbe approfittato di lei, nel futuro, un giorno si e tre no, tanto la suddetta si scordava tutto dopo due giorni........
Lui................... se lo ricordava.........................




storia di Martina Agostini
illustazione di Andrea Sgherri
riprese di Caterina Polidori
montaggio di Michele Baldini

il punkabbestia


Un punkabbestia viveva con il suo cane su un marciapiede.
Figlio non povero, di buona famiglia, aveva scelto di vivere la propria vita in modo di verso da come gliela avevano insegnata a vivere.
Pensava che una casa, un lavoro, magari faticoso, una moglie e (un domani) dei figli non faccessero per lui.
Pensava che quella fosse una forma di schiavitù.
Voleva sentirsi libero, e voleva che anche il suo cane si sentisse libero..
Libero di stare al freddo d' inverno e al caldo d' estate.
Di ascoltare la musica che amava, cioè la techno, al volume che voleva.
Di drogarsi soprattutto, e di fare tutte le altre cose che un uomo imprigionato non può fare.
Voleva molto bene al suo cane..
Con lui condivideva tutto. Tranne la roba, si capisce.
Viveva, cioè si faceva, con quello che riusciva a elemosinare (lui diceva scollettare) e rubacchiava qua e là.
A volte spacciava anche.
Ed era il suo cane spesso a fargli da complice.
Un bel giorno, vuoi un po' per la fase stagnante dell' economia, un po' perché tutti si erano scocciati di offrire elemosine ad un drogato nullafacente, il povero punkabbestia si trovò senza i soldi per la dose.
Stette molto tempo nella miseria più totale, finché sembrò presentarsi l' occasione giusta.
Si trovava di fronte alla stazione, dove stava di solito, e dove di solito raccoglieva i frutti più maturi.
Si fece avanti un signore molto distinto.
Portava una giacca nera con il doppio petto, scarpe lucidissime ed occhiali neri, e si dirigeva verso di lui sicuro e rapido, lasciandosi alle spalle la lussuosissima mercedes dalla quale era sceso, dopo che l' autista gli aveva aperto gentilmente lo sportello.
- Hai un bellissimo cane. Gli disse.
- Oh grazie, ma 'sti cazzi, anc' a me me piace 'na cifra.
- E' sempre con te?
- Che nun lo vedi. 'mbe ce faccio 'e storie, stamo sempre 'nsieme si. Ma aho, 'mbeh, che vòi? C' hai du' spicci?
- Posso proporti un affare.
- Daje spara! a me 'ste storie m' enteresseno. Basta che nu'mme piji pe' r' culo.
- Non preoccuparti. Vedi, anche a me piace molto il tuo cane. E posso offrirti una grossa cifra in cambio, non so se mi spiego.
- Aho ma de ché. Er cane nun se venne, capito? E vedi d' annattene a pijà ner culo!
Il signore stava allontanandosi indignato, poi sentì
- Aho aspe'.
- C' hai ripensato.
- Mo' quanto me daresti?
- Fai tu il prezzo.
- Aspetta 'n attimo che me devo consurta' cor cane.
- Fa' pure.
Il punkabbestia fece il suo vertice col cane.
- Aho sai, a me me dispiace 'na cifra, ma mo' ce sta 'n periodo de quelli che, aho, nun lo so, c' ho bisogno. Te ce lo sai quanto bene che te vojo ma, ma aho, a me 'a roba chi m' a da? Er signore vedrai che te tratta bene, me sembra che c' ha puro n' mucchio de' sordi, e io si nun me faccio 'no schizzo, me pija troppo male. Frate', o so che perderai la libbertà, e me sento 'n infame a vendete...
Il povero cane sembrava triste di perdere per sempre il suo compagno. Padroni non ne aveva mai avuti.
Il punkabbestia tornò dal signore col cane in braccio.
- Tié e nun me fa vede' che questa nun la reggo. Er guinzajo nun ce sta, nun l' ho mai messo ar guinzajo.
Il signore fece arrivare l' autista che lo caricò in macchina.
- Quanto vuoi?
- Me sembra 'r minimo si te chiedo 3 piotte.
- 300?
- ah signo', che te stai a 'nsordì? mo' certo che so 300...
Il signore glieli dette e si salutarono. Il punkabbestia e il povero cane si seguirono a lungo con lo sguardo prima che la macchina somparisse all' orizzonte.

Passò un po' di tempo.
Il cane perse la propria libertà come previsto.
Fu infatti costretto a vivere rinchiuso in un parco di 10 km2 ricoperto di prati, fiori e alberi, con una cuccia calda in cui dormire e carne nella ciottola tutti i giorni, senza assaggiare mai più la vita avventurosa e romantica della strada. Pensava spesso al suo vecchio compagno e ricordava con amarezza e rancore i tempi felici.
Altrettanto amareggiato e pieno di rimorsi fu il punkabbestia che invece decise che con tutti quei soldi avrebbe potuto farsi tanta di quella roba da bruciarsi completamente il cervello, e così fece.
Si bruciò il cervello.
Ecco perché quando fu di fuori come un giardino, solo ed in preda alla paranoia, e al senso di colpa, si convinse di essersi trasformato lui in un cane.
Si mise ad abbaiare e ad andare a quattro zampe. Leccava o mordeva tutti a seconda dell' umore, e si mise alla ricerca spasmodica di un padrone.
La sua scelta cadde su un tipo che come lui scollettava per strada, e per questo gli ricordava la sua vita passata, sapendo quindi che avrebbe avuto bisogno di un cane.
La fortuna volle che quel tipo in quel momento fosse anche lui di fuori come un giardino.
Si avvicinò e cominciò a leccarlo e a strusciargli la schiena sulla gamba.
- Ciao bbello, mo' che vòi? Non c' ho niente da fatte mastiga', va' va',... certo mo' che sei proprio bbello, vie' qua, fatte da' 'na carezza...dorce sei, dorce...mo' c' avrei puro bisogno de' n cane...
Fra i due fu subito amore.
Insieme andavano dappertutto, e scollettavano su tutte le strade.
Il vantaggio sull' avere questo strano tipo di cane è che sembrava una persona, diceva il novello padrone ai suoi amici, aveva delle espressioni proprio umane, che .
E poi sapeva annusare la roba buona e quella cattiva, e questo si che era un vantaggio.
Il punkabbestia/cane da parte sua non si rese mai conto, preso dall' affetto e dalla dedizione che avrebbe anche lui perso la libertà.

Un giorno ci fu un rave. Techno.
Tutti i punkabbestia della città e non solo ci andavano.
Così ci andarono anche il punkabbestia/padrone e il punkabbestia/cane.
Il punkabbestia/padrone trovò una bella storia di mdma da fare e la fece.
Ricavò molti soldi dall' affare, e avanzarono pure diverse pastiglie.
Ma ciò che non doveva accadere accadde.

Era mezzogiorno, la gente stava tornando a casa dal rave.
Tutti i punkabbestia rimasti ballavano ancora, felici, e tutti di fuori come giardini. Compreso il nostro e il suo 'cane'.
E arrivarono gli sbirri. Gli sbirri infami.
Fecero chiudere tutto, e ne portarono diversi con sé.
Perquisirono purtroppo anche il nostro.
E lo trovarono con tanti soldi in tasca, e un po' di pastiglie.
- E queste?
- 'mbe?
- Vieni con noi
Lo stavano accompagnando in macchina quando si accorsero del punkabbestia/cane che li seguiva ringhiando e mugolando.
- Ma che ha preso questo? Disse uno degli sbirri.
- Aho ma che stai a di', quello è er mi' cane. Gli rispose il prigioniero.
- Il tuo cane?
- Eh si, che nun lo vedi?
- E che tipo di cane sarebbe? Cominciavano ad incuriosirsi.
- De che tipo? Er migliore cane antisbirro der monno!
- Ma la droga la sa riconoscere? Azzardò uno dei due tutori della legge.
- Certo che 'a riconosce, e se la fa puro!
- Maresciallo, venga. Chiamarono il maresciallo
Gli sbirri confabularono tra loro. Poi riportarono il resoconto al punkabbestia/padrone, mentre il punkabbestia/cane se ne stava sull' attenti.
- Se tu ci dai il cane ti lasciamo libero.
- Che stai a dì?
- Dai che hai capito benissimo.
- Che ce fate, voo magnate?
- Non ti preoccupare, o viene lui con noi o vieni te.
- A 'nfami, bastardi!
Pensò un po', notò che il punkabbestia/cane aveva gli occhi languidi e si commosse anche lui. Si mise a piangere.
- Mo' che faccio...
Il punkabbestia/cane lo leccava mentre piangeva e pensava. Poi decise.
- Ma si ve' do er cane, voi me ridate anc' a' roba e li sordi?
- Non essere stupido.
- e mo' basta, tenetevi er cane!
La spada fu tratta.
Per il punkabbestia/padrone fu di nuovo la libertà.
Il punkabbestia/cane,divenne il miglior cane antidroga di tutti, seguendo i loro nuovi padroni.




storia di Michele Baldini (soggetto di Michele Baldini e Alberto Sabatini)
illustrazione di Andrea Sgherri
video trovato su Youtube e rimontato da Michele Baldini

lunedì 2 luglio 2007

Il poverino e l' idraulico


Era povero. Così povero che non aveva una lira per farne due.
E si che lavorava, e lavorava tanto. Ma era povero. Tanto povero.
Eppure, con fatica indescrivibile, era riuscito a farsi la casa: sua. E aveva anche una bella moglie, che gli voleva bene.
Figli no però. E chi poteva permetterseli coi tempi che correvano.
Ci fu un giorno però, che fra lo stress, fra il poco mangiare e fra il metabolismo non più svizzero, smise di defecare.
E durò, durò per molto, senza buttar fuori nemmeno un cacarello di pecora.
Poi avvenne. Lo stimolo ci fu. E decise di recarsi nel bagno tanto faticosamente custodito e pulito con cura, comprato e arredato con gli sforzi di una vita.
Per cercare di liberare l' intestino da un magro ma remoto accumulo di detriti.
E si sforzò. Si sforzò a lungo. Soffrì da quanto si sforzò. E ci riuscì.
Ma assai amara e sorprendente fu la sorpresa.
Il frutto del suo deretano era di un giallo lucente, alla vista sembrava duro, quasi fosse metallo.
Decise di non pensarci troppo, attribuendo la cosa ad un' alimentazione scarsa e sbagliata, e tirò la catena.
Mai e poi mai avrebbe dovuto farlo. L' oggetto non riuscì a passare giù lungo il condotto, e l' acqua fuoriuscita dallo sciacquone finì per allagare l' intero bagno.
Il poverino si mise a piangere. Amaramente come fosse un bambino. Aveva commesso un grave errore, e ripararlo sarebbe costato molto, ma molto caro.
In più lo stronzo era sembre lì, a suggello del suo incommensurabile sbaglio.
E tutti sanno che gli idraulici si coprono d' oro.
Consultò l' amata moglie, e fu proprio lei (certo, sospettosamente) a consigliarnene uno.
Il maritò decise di fidarsi, seppur con molto riserbo (dopo aver rimandato per mesi la cosa e aver constatato l' invivibilità dell' ambiente), ed egli venne.
L' idraulico seppe fare a meraviglia il proprio mestiere. E fu altrettanto bravo a non rivelare che quello stronzo fosse stato in realtà una pepita d' oro puro uscita dal buco del culo di un poveraccio (il peso, il colore e la brillantezza non potevano mentire) quanto la fedifraga storia che da tempo lui e la moglie di quello stesso poveraccio consumavano a sua insaputa.
Alla vista del bagno di nuovo asciutto per il poveraccio fu una gioa inaudita, e si ripromise solennemente di non cacare mai più.
- Quanto ti devo? Chiese il povero.
- Non ti preoccupare, non voglio niente.
- Per favore...
- Dico davvero: ho stima per te, e so quanti sacrifici hai fatto per aver un bagno cosi ordinato. Non voglio niente, davvero.
Il povero si commosse e strinse l' altro in un sincero abbraccio.
L' idraulico se ne andò, fregandosi le mani e con una tasca gonfia e pesante, che gli inclinava il cavallo dei calzoni.

- Che brava persona! Diceva spesso il povero alla moglie, e tutti e due se ne compiacevano.


storia di Michele Baldini
video tratto da Youtube (Zeronline edizioni) e rimontato da Michele Baldini
illustrazione di Andrea Sgherri

Il Nodulo


C' era il nulla. Buio.
Poi, dal nulla, apparve una colomba bianca, che volava verso l' alto.
E poi spariva, nel nulla.
E c' era di nuovo il nulla. Buio.
Poi dal nulla apparve una mano che brandiva un coltello.
Il coltello colpiva. Non si sa chi e non si sa cosa. Ma si ricopriva di sangue.
E poi spariva, e tornava il nulla. Buio.
E poi cadde una piuma, dall' alto, sparendo di nuovo nel nulla.
La piuma della colomba bianca.
Dri-drun-tch-tch-dri-dra-drun-tch-tch (cazzo di suonerie polifoniche)
Occhi spalancati. Impauriti. Sudore freddo.
Ma non era la sveglia: qualcuno stava chiamando.
Si alzò liberandosi dal groviglio che avevano formato su di lei il lenzuolo e la coperta. Per il sonno turbato.
Da quello strano sogno.
- Pronto. La voce era quella che era, appena alzata, impastata per la birra e le sigarette della sera prima e con un incubo gettato da poco alle spalle.
- Sono io. Lui stava seduto in macchina, agitato. Quasi sconvolto.
- Che ore sono.
- Le 8. Sto male.
- Ci siamo. Pensò lei
- Ci siamo. Disse lui.
- Dove.
- Ce l' ho.
- Ma cosa?
- Tutte! E lo disse come se fosse stato ovvio.
- Lo dici come se fosse ovvio [e si accorse subito di aver sbagliato a concludere questa domanda, che le si sarebbe rivoltata contro], ma cos' hai in particolare?
- Si:[e si metteva a sfogliare radiografie e risultati di esami] la sinusite, è cronica, chi me la leva. C' è più catarro fermo nelle mie mascelle, che uva nei bigonci finita la vendemmia, e che ci faccio? Il setto nasale: è chiuso. non passa nulla. Hai voglia a aerosol, come far entrare un armadio in un buco di culo. Ho i turbinati gonfi come un cappello da chef.
- Mi dispiace...
- Ma aspetta [sommerso dalle lastre nere], ho l' artosi cervicale! A trent' anni io? Sedia a rotelle. Se mi va bene.
- Lo dici come se fosse...
- E' ovvio, hai voglia a cortisone, che vuoi che passi? [si tastava di continuo il collo] Poi senti qua: un linfonodo. E tutti quegli incompetenti a dirmi che non è niente, che è morbido, che si muove, che son cose naturali, si si. Fra tre mesi smetto di inghiottire, comincio a sputare sangue. Linfoma della laringe. Che vuoi che sia: in sei mesi si parte.
- Dai ma che dici?
- Eh...si, ma io non voglio morire. lo capisci?
- Ma non muori, almeno non tra poco. Tra sé e sé quasi sorrideva.
- E vorrei fosse così, lo vorrei. Ma il fegato... Prendo antibiotici da quando avevo otto anni e non ho mai smesso per più di una settimana, poi le birrette, i fritti, le salsine, lui e i reni si sono arresi. Si son guardati e hanno detto: noi saremmo alla frutta!, Ma io di frutta, non ne mangio mai. E allora bevo l' acqua. Anche lì, ne berrò cinque litri al giorno e non piscio mai, pagherei a sapere dove va. Io non ho il sangue, ho l' acqua che mi scorre nelle vene; oppure ho le branchie: eh si perché anche i polmoni...

Parlava da solo già da un pezzo. Lei aveva lasciato il cellulare acceso sul cassettone per recarsi in bagno a fare i bisogni mattutini, e lui non se ne era accorto.
Fu in bagno che tutto accade. Espelleva e non si rendeva ancora conto cosa significasse quello strano sogno. Poi il nulla. Buio.
Nel pulirsi avvertì uno strano pizzicore proprio in mezzo alle gambe. Il primo pensierò fu: non ci siamo ancora.
Indagò con le mani. Strofinò, tastò, colpì.
L' espressione del volto non fu da subito convinta.
Poi, affranta, si arrese al giogo della sofferenza.
Esclamò: - Oh mio Dio! Un nodulo!



storia e video di Michele Baldini
illutrazione di Andrea Sgherri