mercoledì 4 luglio 2007

marco de ascentis - esimio generale


Marco non usava alcun dispositivo per trasmissioni: nessun ponte radio, nessun telegrafo, nessun ricetrasmettitore. Niente di niente.
Disponeva ordini ai suoi uomini urlando con tutto il fiato di cui era capace, girando nervosamente attorno al suo tavolo, con le mani dietro la schiena, attento nello studiare la miglior strategia. Guerra dopo guerra. Prestava molta cura nel pianificare la battaglia, nello schierare gli uomini e nel programmare la sequenza con la quale sarebbero dovuti scendere in campo.
- “Sono il Generale Marco, il vostro Generale.” – urlava alle truppe – “Aprite bene le orecchie!, razza di succhiapollicibuonianulla, non ripeterò due volte…”.
E come ubbidivano quei Cristi. Se qualcuno osava rifiutare un suo ordine veniva consegnato al nemico e lì rimaneva prigioniero, in legione straniera. Gli ordini erano ordini, toccava a rispettarli.
Erano impegnati nella Battaglia dei Colli, così denominata da insigne Colonnelo Bova (che in passato si distinse per spiccato estro letterario anziché bellico), poiché i campi base degli eserciti erano posti in alto, su due colli che spuntavano, quasi per magia, da una vasta distesa di terra bruciata, l’uno di fronte all’altro. Lo scontro avveniva a valle, dove il fiume, una striscia di blu, delimitava il confine tra uno schieramento e l’altro. Su indiscutibile ordine di Marco la fanteria e i granatieri erano stanziati a pochi passi dalla riva del fiume, ormai da molte ore, pronti ad attaccare non appena l’artiglieria fosse avanzata coprendogli le spalle. Non era una giornata fredda, ma col calare del sole anche la temperatura si abbassò sensibilmente. I soldati aspettavano stanchi, volto spento: pareva dello stesso piombo con cui erano fatti i loro fucili e i loro mortai.
Di piombo.
Tutto intorno era deserto, non si muoveva una foglia. Non passava nulla. Si distinguevano soltanto le sagome dei soldati caduti nel precedente scontro, ammassati uno sull’altro, con l’arma stretta in pugno e gli occhi ancora sbarrati. Attimi che sembravano ore e le ore erano passate in quantità. Immobili, non volevano far localizzare la propria posizione al nemico. Immobili e senza batter ciglio, forse anche per paura di addormentarsi ad aspettare un qualsiasi cenno che tardava ad arrivare. Il pensiero era rivolto altrove, forse alle loro case, forse alle loro amanti, sicuro non a quell’inferno. A qualsiasi cosa fosse rivolto quel pensiero, di certo c’è che fu interrotto dal tuono dei carri che, scendendo dal colle, si apprestavano a far fuoco non appena il Generale avesse dato ordine. Questione di secondi, quand’ecco che Marco premendosi sulla pancia come a far uscire tutta l’aria in un solo grido, urla ai suoi:
- “…
L’ordine del Generale fu sopraffatto da una voce proveniente dall’ainoi domestica cambusa:
- “Marco, è l’ora del bagnetto, sbrigati! Puoi portare anche i tuoi soldatini se vuoi”.
- “Sono il Generale Marco!, mamma.”, replicò il bambino avviandosi di corsa verso il bagno.



storia di Alberto Sabatini
foto e video di Michele Baldini e Caterina Polidori

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